sabato 23 gennaio 2016

In equilibrio sopra un cornicione, al milleunesimo piano


Un antico detto, che potrebbe essere medioevale o cinese, ma che potrei anche avere inventato io stesso (e quindi non sarebbe nemmeno troppo antico), dice che se sei preparato al peggio, non rischierai mai di rimanere deluso, di trovarti spiazzato.
Probabilmente lo inventai (o lo adottai) dopo una serie di delusioni giovanili: un brutto voto a scuola, un regalo atteso mai arrivato, il Toro che perde un campionato e in classe con te son tutti juventini, James Hunt sconfigge Niki Lauda e cose del genere. Oppure dopo eventi più gravi, come la morte di papà quando avevo dodici anni, per cui ora sapete perché non so nuotare e neppure andare in bicicletta.
O quando, nello stesso anno perdi lavoro, affetti e famiglia, che é bello pesante per chiunque. Anche quando percepisci indifferenza per il tuo lavoro (da parte dell'editore del momento), o un altro editore ti manda a puttane un progetto al quale avevi donato l'anima. La lista potrebbe continuare, ma ve ne faccio grazia.

Per cui, in questi miei otto giorni milanesi di ricovero ed esami presso l'istituto Auxologico "San Luca", mi ero già immaginato tutti i peggiori scenari possibili per i miei motoneuroni malandati.
Sì, le avevo sentite le storie dei casi incredibili, di malati gravi con sintomi simili ma cause differenti (e curabili), ma ritenevo fossero casi limite che sfuggivano ogni statistica.

Quando il professor Silani, primario dell'istituto, mi ha detto che purtroppo i neurologi di Gorizia avevano ragione, non ci sono rimasto troppo male. "E ti pareva, e vai di Sfiga...". Preparato al peggio, ed eccolo servito, questo peggio. Niente grida o altro, come un astronauta dell'Apollo, avevi già immaginato ogni risposta possibile e tutte le tue reazioni.
Eccola qui, la temuta verità che emerge: ho danneggiati sia il motoneurone A (cervello-midollo spinale), sia quello B (midollo spinale-estremità); ergo questa si chiama SLA.
Fine, punto, che altro si aggiunge? 
Tutto il resto, per esempio. Perché essendo io in quel momento in uno dei principali centri di studio della malattia (se non il principale) la seduta non si conclude con un saluto, una stretta di mano e avanti il prossimo.
Abbiamo parlato per un'ora, durante il quale mi é stato fatto il punto sullo stato della ricerca, e ascoltare quella storia é stato stimolante.
Ma oggi rimaniamo su di me: la malattia può essere lenta, rapida e ultrarapida, a me é capitata la seconda (alé). Dietro mia autorizzazione continueranno a sottoporre a esami ulteriori i miei "campioni", per me e per la ricerca scientifica. Verso marzo avranno completato il tutto.
Se non trovano alcuna mutazione genetica, sarò un paziente normale, e potrò rientrare in un protocollo di ricerca sperimentale (che è sempre meglio di nulla); ma se trovano una mutazione (ipotesi comunque remota) allora divento paziente "con causa", e potrà partire una cura specifica. E contribuirò alla ricerca (e diventerò davvero un X-Man!).
Se la malattia riesce a essere fermata, il recupero sarà lento, ma promettente. Tutto ciò che devo fare io é resistere, e continuare la fisioterapia, e ancora e ancora e ancora. Semplicissimo.

Ecco qui. Cinque giorni per scrivere questo pezzo, per rispondere nel modo più preciso possibile alle mille domande che mi arrivano da lunedì. Spero sia sufficiente, anche se sicuramente avrò scordato qualche dettaglio fondamentale.
Cosa penso adesso? Molte cose, perlopiù inutili. Temo di non essere un eroe: sono solo un tale che si ritrova a camminare sul cornicione di un palazzo alto alto, che non guarda in basso, e che cerca una finestra aperta, sopportando i colombi e il vento, ripetendo come un mantra ipnotico tutte le parolacce del mondo, e a non pensare all'altezza.
Quindi, nel caso che vedendomi di persona vi possa sembrare un po' irritabile o alterato, immaginatevi su quel cornicione, circondati voi da colombi scagazzoni, e tirate le somme.
Tranquilli, vi voglio sempre bene, anche se occasionalmente vi posso mandare a quel paese, ma come essere umano, ho reazioni umane.

A tutti gli altri, coloro che si lamentano della propria vita, del proprio lavoro, della propria donna che ingrassa e del proprio foruncolo sul sedere, be'... vorrei dirvi che farei volentieri cambio con voi. Senza pensarci troppo, sappiatelo ;-)

domenica 10 gennaio 2016

Motoneuroni ed Entropia


Se proprio vogliamo trovare un argomento di inizio per tutto, possiamo parlare della pioggia. Quella persistente e fastidiosa pioggia che durò per buona parte dell'estate del 2014. Inopportuna, quando dovevo uscire per fare la spesa; quell'uscita che facevo da sempre, una o due volte la settimana, a fare rifornimento di pasta, verdura e frutta, oltre a eventuali pennarelli o cartoncini. Quando rientravo a casa, a piedi, con le borse e le mani piene, perché se devi fare la spesa, la fai tutta. E se piove non puoi tenere anche l'ombrello, e così finiva che prendevo l'auto.

E quindi niente passeggiata tradizionale di un paio di chilometri, ogni settimana, regolare negli ultimi dieci anni. Salta un giorno, l'altro ancora, il percorso fino alla panetteria dall'altro lato della strada non vale a fare statistica.
Ti sposti in auto, niente chilometri a piedi... e quando ti accorgi che zoppichi, in autunno, hai già una prima ipotesi: poco moto. Aggiungi le scarpe di tela piatte, comprate a primavera, dopo anni di calzature leggermente rialzate dietro... che sia anche problema di postura?
Scarpe nuove, e il passo migliora. Problema risolto?
No, continuo a zoppicare, uffa. Con quale gamba? Non si capisce.

Arriva febbraio, la vita é proseguita... Ho usato le mani per molte cose oltre al lavoro, e mi accorgo di una leggera difficoltà a stringere le cose con la sinistra. Un giorno dovrei salire su una sedia per prendere una cosa su uno scaffale (quante volte l'ho fatto?); la gamba destra si solleva, il piede poggia stabile sul sedile. Tra un po' ti darai la spinta, e sarai in piedi sulla sedia. La spinta arriva... ma non accade nulla. Non si solleva nulla; cambio gamba, ma nulla. Questo é un bel problema. Non è normale.
Comunque, passo l'inverno a recuperare in passeggiate, e lo zoppicare continua.
In quel momento mi ricordo anche quando recentemente sono incespicato e caduto, o quando hai perso per qualche secondo l'equilibrio, e realizzo che forse é tutto collegato.
É il caso di andare dal medico di famiglia.
Una settimana di attesa, e in dieci minuti di visita mi prescrive esami del sangue, e mi dice di continuare a far moto. Un mese di attesa ed ecco fatto: sono perfetti, e quindi? Radiografia della schiena. 
Altre settimane di attesa. Il radiologo di turno é un vecchio amico, e quando vede il mio passo e la cadenza ormai sbilenca, moltiplica i raggi. Dopo un'ora ecco risultati e diagnosi: ossa a posto ovunque. Avanza l'ipotesi di possibili problemi reumatici. 
Potrebbe essere? In fondo la casa é un po' umida da sempre. Il medico di famiglia deve scegliere tra mandarmi da un reumatologo o un neurologo. Opta per il primo.
Questa volta l'attesa per la visita é di due mesi. Ma se vado privatamente me la cavo in un mese.
Nel frattempo ho continuato a muovermi. Continuo a zoppicare, più forte, e cammino chinato in avanti, e lo capisco da solo che non va bene; in più, la mano sinistra comincia a non funzionare: poca forza, dita che tendono a chiudersi ad artiglio.
In queste condizioni la vita di tutti i giorni diventa difficile. É difficile cucinare, lavare i piatti, tenere fermo uno squadretto per tirare una linea o tenere fermo un foglio per sgommare. Se mi chino lateralmente da una sedia, manca la forza per risollevarmi. Posso guidare l'auto, ma girare il volante richiede il doppio della forza, e il collo non si gira bene per vedere dietro: meglio non usarla. Finisce che mangio solo pane e prodotti da microonde. Non ci faccio caso, ma inizio a dimagrire per questo motivo.
Arriva il giorno della visita, in ospedale "Ma lei ha forti dolori?"
No. "Allora non sono reumatismi". 
Okay, panico. Allora cos'è?
La dottoressa é estremamente cortese, e in 5 minuti mi fissa un appuntamento col neurologo del piano di sopra, per la settimana dopo.
E qui mi ritrovo a pensare: "Ah, se il mio medico mi avesse prescritto subito il neurologo...". Probabilmente i tempi di attesa triplicavano, visto che negli stessi giorni ad un amico l'appuntamento l'hanno dato in ottobre.

A questo punto le date successive le ricavo dalle foto del cellulare.
Le passeggiate le proseguo, ma solo nelle vicinanze. Sono belle giornate di sole, si preannuncia una calda estate, e la promessa verrà mantenuta. Scatto foto ai giochi di luce del sole, a quartieri che non osservavo mai per davvero.
Il 12 giugno esco per l'ultima volta con gli amici per la spesa al centro commerciale sloveno. Pranzeremo in pizzeria a Solkan, ma già sto seduto troppo scomodo, e tornerò a casa prima del tempo. Un sabato mi concedo un ultimo gelato ai giardini di Corso Verdi, seduto su una panchina diventata ormai scomodissima, e il ritorno a casa é sempre traballante. Due giorni dopo interrompo la passeggiata dopo 100 metri.
Il 19 ho la visita col neurologo. Dopo 10 minuti ha chiaro di cosa possa essere, ma per esserne certo devono farmi degli esami, quindi verró ricoverato in ospedale, appena si libera un posto. Avverto in Bonelli che non spediró pagine nuove per un po', sbrigo altre scadenze, mando mail. Passerà una settimana nell'attesa.

Il 25 entro in ospedale, reparto neurologia. Divido la camera con Emiliano, affetto da sclerosi, bloccato su carrozzina, colpito da una crisi mentre era a casa. Ho con me solo il cellulare per tenermi in contatto col mondo. Nei giorni successivi iniziano gli esami.
Nel frattempo mi muovo per i 29 metri (misurati solo per passare il tempo) del corridoio del reparto, appoggiandomi ogni tanto alle maniglie fisse alle pareti. Mangio da solo, mi lavo da solo, leggo libri, faccio foto col cellulare ai cieli o ai particolari curiosi. Ho il taccuino, su cui disegno e scrivo riflessioni.
Gli esami si susseguono: elettromiografia, risonanza magnetica, pneumologia, e forse ho pure sbagliato qualche nome.
A questo punto (metà luglio) il dottore mi fornisce le risposte tanto attese.

É la malattia del motoneurone. Mi dicono essere rara, e scoprirò tempo dopo che siamo 13 pazienti nella provincia, e 100 in regione. A me sembrano pochi, ma imparerò che sono cifre alte. Malattia inesorabile, della famiglia della SLA, apparentemente senza rimedi, ma con un punto a favore: puó essere fermata. Dopo spetterà a me cercare di recuperare il piú possibile con l'esercizio fisico. Ma questo non m'impedirà, da adesso in poi, di rimanere sotto costante controllo medico. Ma mi dicono che molti malati hanno impiegato molti anni per peggiorare, per cui posso rimanere positivo. Almeno quello!
Ma come puó succedere, quali sono le cause? Qualcosa che ho fatto?
No, succede e basta. Cause sconosciute. A quanto parrebbe il nostro sistema va in tilt, e il cervello (o un suo socio bastardo) emana una sostanza che uccide i neuroni che si occupano di trasmettere i movimenti ai muscoli.
Ma esiste la pillolina portentosa: si chiama Riluzolo, ed é l'unica sostanza che "blocca" questa sostanza killer. 

Si, tranquilli, quel pensiero mi é venuto: "Perché io?"
Perché devo rientrare in una statistica piú improbabile di una vincita al lotto? Che razza di ricompensa é, per essere rimasto per anni paziente, moderato, tranquillo? Dov'é la giustizia in tutto questo? Tanto valeva essere stronzo e bastardo!
Non serve a nulla. Ma anche se mantieni un cauto ottimismo, devi essere pronto al peggio. 

A questo punto dovrei tornare a casa, ma il programma viene presto modificato in ricovero all'RSA di Cormons. Nel frattempo mi trasferiscono due piani sotto, in cardiologia, in attesa che si liberi un posto per me, e faccio in tempo a vedere un'entusiasta anziano moldavo che nessuno comprende, e assistere ad una crisi cardiaca serale di un signore che s'innervosiva troppo di giorno.

La fascetta che porto al polso mi ricorda che arrivo l'8 luglio a Cormons, al Ricovero Sanitario Ambulatoriale (da qui in poi abbreviato in RSA), presso l'ex ospedale locale: sono attivi alcuni laboratori al piano terra, RSA al primo piano, casa di riposo al terzo e quarto, un bel giardino e due grossi gatti che girano nel prato. Una volta era un ospedale completo, ma a meno di un quarto d'ora dall'ospedale di Gorizia, e il suo destino era segnato.
Arrivo in ambulanza, portato sdraiato in barella, mi sistemano in una camera singola, vista sul cortile interno. 40 posti letto, finisco nella stanza 126. Ma alla sera il sole batte sulla finestra, e illumina il letto. Dai, non é cosí male, anzi.
Dal mio punto di vista si mangia bene. Ben presto comincio le sedute giornaliere di fisioterapia, conosco il personale ed i pazienti, e coi miei 51 anni sono il più giovane. Mi pesano, e scopro di essere dimagrito di 7 chili rispetto alla mia media. L'effetto della pessima nutrizione del mio ultimo mese a casa.

Mi muovo aiutato da un bastone tenuto con la mano destra. Ma é troppo corto, e sto troppo piegato. Peró insisto a muovermi, per recuperare. Ogni giorno faccio più di un'ora di fisioterapia, salgo e scendo una rampa di scale; insomma, mi impegno.
Mi prestano una stampella canadese, e il passo migliora. Mi faccio portare dei fogli A4, e con un tratto Clip improvviso disegni astratti, che faccio per tutto agosto, e poi finiscono sulle pareti. Sulle altre stazionano alcune stampe di miei disegni, e poster artigianali di Kylie Minogue, Jasmine Ghauri e Koda Kumi, e sulla finestra c'é un Tardis, tutto fornito dall'amica Miri. Appeso in alto un peluche del licantropo di Halloween della Kinder, sul comodino la Monster High Draculaura. Questa é la mia casa a tutt'oggi.

Passa a vedermi il fisiatra primario del distretto, e mi giudica promettente. Muovo bene le gambe, lui mi consiglia dei tutori per le mani (arriveranno a settembre) e un supporto per il collo (novembre). Arriva l'esperta che mi dovrebbe dare consigli utili per la vita quotidiana. Quando mi mostra il programma di computer secondo cui potrei continuare a disegnare, realizzo che non ha idea di cosa 'sia' disegnare. E che quando anche la mano destra si chiuderà ad artiglio come già sta facendo la sinistra, saró fottuto.

Eppure insisto. Nell'attesa dei tutori veri, me ne invento uno artigianale con un tempera matite Faber Castel e un elastico, che per un mese riuscirà a raddrizzare un po' le dita indice e medio della mano sinistra. Continuo a muovermi, facendo giri su giri, e ricevendo visite di amici e occasionali parenti. Passo il tempo leggendo Gorki Park e una riduzione di Sharpe, dal Reader's Digest.
Mi portano da casa il tablet, e proseguo qui le letture. Talvolta scendo in giardino, salgo e scendo una rampa di scale e chiacchiero con gli amici in visita.
In agosto mi regalano una SIM Card per navigare, e riottengo l'accesso alla rete, scoprendo che su facebook nessuno aveva notato la mia assenza. Terró un profilo cauto, dando pochi aggiornamenti sulle mie condizioni.
Se recupero abbastanza potrei rientrare presto a casa. É partita la richiesta per l'invalidità, che mi libererà dal ticket medicinale, e in futuro mi potrebbe portare pensione di invalidità e accompagnamento, previa visita medica fiscale. Aspetterò fino a novembre: quando l'appuntamento viene fissato a Gorizia, scioccamente accetto l'opzione "se non potete venire, verremo noi da voi", ignorando che i "tempi" varieranno tra l'infinito e il mai.
Per essere piú stabile, mi forniscono un deambulatore 2+2, 2 ruote e due piedini, e comincio a spostarmi con piú sicurezza. Fino a qui l'entusiasmo é bello carico.

A settembre mi accorgo di un problema: non riesco piú a usare la stampella. E muovermi col deambulatore mi costringe a spostarmi stringendo le impugnature con le mani, annullando i miei tentativi di raddrizzare le dita. Brutte nuove. Devo preoccuparmi?
Non riesco piú a farmi la barba da solo, o lavarmi i capelli. Non posso togliere il cappuccio del TrattoClip, e se ci riesco non posso piú tenerla in mano con pieno controllo. Addio disegni nuovi. 
A ottobre é chiaro che sto peggiorando. Gli amici mi consigliano un consulto a Milano. Sono d'accordo, ma prima voglio un consulto con uno dei neurologi di Gorizia, visto che sono un loro paziente. Il primario della RSA invia la richiesta. 
Sulla mia pelle scopriró alcuni piccoli problemi: mi telefonano da Gorizia, appuntamento fissato tra due settimane. Ma quando arriva il giorno... nulla, nessuno viene a prendermi. Scopriró che a Gorizia avevano "dimenticato" che non ero a casa mia, libero di muovermi, ma a Cormons. "Non é la prima volta che succede!" mi dice il primario. E accadrà ancora, con successivi esami pneumologici.
Tutto rinviato di 10 giorni. Questa volta tutto avviene per bene. Vedo il neurologo. Mi visita. il dialogo seguente é semplificato. "Sto peggiorando..." dico.
Questo é il normale decorso della malattia, dice lei. 
"Devo cambiare cura?"
Assolutamente no.
"Posso chiedere il parere a qualche specialista?"
Certo che sì, é una mia libera scelta.
Tornare a Cormons senza uccidere nessuno é un'impresa. Penso solo che ho sprecato un mese prezioso per nulla. Ma quella sera stessa allerto gli amici di Milano di attivarsi, e l'appuntamento con lo specialista é fissato per i primi di dicembre.

Nel frattempo a novembre piano piano se ne va la voce, che diventa sempre piú impastata e incomprensibile. La mano destra continua a contrarsi, e prendere gli oggetti si complica. 
Rispondere al cellulare? Devo essere sdraiato sul letto, e la voce viene fuori piú chiara. Ma durerà poco, e durante il mese successivo diventa difficile darmi la spinta e sollevarmi da certe sedie, costringendomi a sceglierle solo se hanno braccioli massicci.
Devo inventarmi nuovi modi per tenere cucchiaio e forchetta (a provarci col coltello ho rinunciato da tempo), spostare la sedia in una posizione accessibile, farmi aprire le bottiglie d'acqua dalle infermiere (camice verde) e gli Operatori Socio Sanitari (OSS, camice bianco a bordi arancio), e farmi tagliare la carne ai pasti.
A dicembre l'eccesso di salivazione diventa serio. Già é corresponsabile per la voce sparita, ma anche mangiare e bere diventa un'impresa. Sento la gola piena, il naso pieno. Mi tocca interrompere i pasti perchè il naso sgocciola e mi tocca soffiarmelo subito. E fare attenzione che non vada per traverso quello che bevi. E sbavare mentre mangi diventa una costante. E non é divertente. 
Divento taciturno. La voce viene fuori incomprensibile se sono seduto per mangiare o mi sto spostando sul deambulatore, e vorrei lo capissero tutti quelli che si ostinano a parlarmi. Vorrei fosse lampante che se sono seduto comodamente sul letto parlo meglio, ma non riesco a spiegarmi come vorrei.
Eppure continuo a girare, saluto tutti. Vedo lungo degenti che tornano a casa, guariti. Le signore anziane mi prendono in simpatia, mi salutano quando passo, mi offrono un dolce, mentre divento amico del personale, sono la "presenza costante".

Arriva il giorno della visita. Andata e ritorno in un giorno solo, un viaggio in auto, in un giornata uggiosa, appuntamento alle 16.30. Faticoso, ma a volte ne vale la pena. Attendo circondato da amici, seduto su una carrozzina perché le gambe dopo 5 ore di autostrada sono dure e rigide.
La visita durerà meno di mezz'ora, ma ottengo dei fatti: 1) non mi hanno fatto tutti gli esami necessari, 2) il decadimento é stato troppo rapido, 3) all'età di 51 anni non si puó dire al paziente "si metta il cuore in pace". 4) il primario leggeva Tex.
A gennaio, passate le festività, dovró tornare per quattro giorni, per tutti quegli esami per stabilire "cosa ho". Almeno ho la certezza che una risposta la troveranno, perché si occupano solo di neurologia, e sono all'avanguardia nella ricerca. 

E siamo qui, per l'ennesima volta, ad aspettare dei risultati. Che puó succedere?
Tutto e niente. Forse hanno sbagliato diagnosi a Gorizia, forse no. Forse la medicina non cura perché l'origine è differente, o forse ho semplicemente una malattia "strong". Forse non è curabile, forse lo é in parte e forse si potrà fare qualcosa, forse dovró rinunciare alla Nutella.

"Ma come fai ad essere cosí? Come puoi riuscire a scherzare ancora?"
Perché no? L'alternativa é forse spaccare tutto? Urlare la mia rabbia al mondo? E chi vi dice che non l'abbia fatto? Che non abbia avuto reazioni peggiori? O che mi sia inventato tutto?
É una nostra scelta quella di scegliere cosa e come condividere le nostre esperienze, e quali siano condivisibili e quali invece no.
Mia é la scelta di raccontare questa storia, di non aggiungere fotografie, di fornire informazioni sulle mie condizioni attuali, e che io vi aggiorni su questi fatti su Facebook non vi é nemmeno la certezza. Dipenderà dall'umore, e dal grado di entropia dell'universo in quel momento.

Per tutto il resto, vale la frase finale di un vecchio romanzo di Philip José Farmer, che ammetto di saccheggiare spesso. Ma é maledettamente efficace.
L'unica cosa facile é arrendersi.